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Magia, streghe e stregone nell'Altomedioevo

Il periodo altomedievale (così come il pieno Medioevo), a differenza di quanto anni di mistificazione hanno generato nell’immaginario collettivo, non conosce una sistematica caccia alle streghe.

Il testo a cui i vescovi facevano riferimento per indagare sui casi di stregoneria, è il Canon episcopi. Si riteneva che lo scritto risalisse al concilio di Ancira del 314 ma la critica moderna lo data a un periodo più tardo.

Nel documento si fa rifrimento alla “Società di Diana” o Erodiade e al volo nottuno delle streghe. Ai vescovi, che hanno il compito di sradicare la magia e la superstizione nelle loro diocesi, è richiesto di prestare attenzione e tenere sotto controllo quelle donne che si sono votate a Satana e che credono di cavalcare di notte alcune bestie al seguito di Diana. Queste manifestazioni sono bollate dalla chiesa come semplici inganni approntati dal diavolo per allontanare la gente dalla vera fede e attribuire al Maligno poteri che appartengono solo a Dio. Benché la percezione dell’antagonista del bene sia molto forte anche durante l’Altomedioevo, egli è percepito dalle sfere ecclesiastiche dell’epoca semplicemente come un grande ingannatore e a Satana sono attribuite tutte le nefandezze e le brutture del mondo.

La magia, altro inganno del diavolo, è considerata un tema importante. Essa spesso aveva una diffusione locale e nel Canon si affronta problema che ci mostra anche la lucidità delle alte sfere che affrontarono l’argomento ovvero il rapporto che le pratiche ecclesiastiche intessevano con i riti, le credenze e le divinità pagane classiche a cui spesso si sovrapponevano anche riti, credenze e divinità di origine celtica. Queste ultime costituiranno un grande problema per la chiesa ufficiale, perché spesso radicate in zone remote come, ad esempio, il nord della Germania dove il cristianesimo faticherà a istaurarsi.

Scorrendo le fonti a nostra disposizione, notiamo che nella costituzione carolingia non vi è traccia ci persecuzioni nei confronti delle streghe e le manifestazioni stregonesche erano semplicemente licenziate come sopravvivenze di riti e di credenze del passato.

Nei Capitularia regum francorum, redatti nel 789, si minaccia addirittura di morte chiunque avesse mandato al rogo presunte fattucchiere: “Se qualcuno credesse di essere stato preso dal diavolo, secondo il costume pagano, che un uomo o una donna è una strega e mangia gli uomini, e per questo la bruciasse, o avesse dato la sua carne da mangiare, o l’abbia mangiata, sia punito con la pena capitale”.

Il vescovo Agobardo di Lione, nel IX secolo, afferma di non credere che il diavolo potesse scatenare tempeste e grandine, credenza che invece nella letteratura demonologica del XV e XVI costituirà una delle accuse più probanti per riconoscere l’operato del demonio e dei suoi adepti.

Agobardo interpreta le calamità naturali come una punizione divina e confessa di non dare credito alle dicerie popolari. Anche in questo caso il vescovo mostra una grande lucidità soprattutto se consideriamio che, nell’epoca della grande caccia alle streghe, molti processi saranno avviati proprio da testimonianze e voci raccolte fra il popolo.

Altro esempio della tolleranza della chiesa altomedievale nei confronti del fenomeno ci è offerto dai Carlomanni principio capitulata Liftinense datati al 743 nei quali si legge: “Noi decretiamo anche, cosa che mio padre aveva già prima ordinato, che colui il quale avrà osservato in qualche modo pratiche pagane sarà condannato a pagare un’ammenda di quindici soldi”.

In tutti i documenti a noi giunti le pene risultano piuttosto blande; nel Penitentiale di Finnen, risalente al VI secolo, era prescritto, per la donna che avesse ucciso per sortilegio un neonato di un’altra donna, sei mesi di digiuno a pane e acqua, due anni senza vino né carne e sei quaresime a pane e acqua.

Il Penitentiale di san Colombano della fine del VI secolo dichiara che se qualcuno ha ucciso per maleficio dovrà digiunare a pane e acqua per tre anni; nei successivi tre dovrà astenersi dalla carne e il settimo anno potrà nuovamente comunicarsi.

Se il sortilegio era indirizzato a scopi amorosi senza provocare la morte di nessuno, la pena diventava di un anno a pane e acqua se era un chierico, sei mesi se laico, due anni se diacono e tre se prete.

Nel caso in cui il maleficio avesse provocato un aborto alla pena andava aggiunto un periodo di penitenza in base alla condizione sociale per un massimo di sei quaresime. Nel caso in cui i termini non fossero stati rispettati la condanna era la stessa che per gli omicidi.

Bucardo di Worms, vissuto fra X e XI secolo, prescrive alle donne che avessero compiuto sortilegi per invocare la pioggia, un digiuno di venti giorni mentre a coloro che credevano che Satana avesse il potere di far volare le persone due anni di digiuno nei giorni stabiliti per precetto.

Da quanto scritto appare evidente che le pratiche di magia e stregoneria, benché fossero considerati peccati gravi, potevano tuttavia essere espiati con penitenze e non con la condanna a morte come spesso accadrà nei periodi successivi e in particolare tra la metà del XV e il XVIII secolo.

 

 

Bibliografia essenziale

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  • S. Abbiati - A. Agnoletto - M.R. Lazzati (a cura di), La stregoneria: diavoli, streghe, inquisitori dal Trecento al Settecento

  • F. Cardini, Magia, stregoneria, superstizioni nell'Occidente medievale

  • J. Delumeau, La paura in Occidente : storia della paura nell'età moderna

  • F. Pastore, La fabbrica delle streghe 

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