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Guiniforte, il santo levriero. Un culto medievale fra devozione e superstizione

Il culto di Guiniforte, il santo levriero, è attestato nella regione francese della Dombes nei pressi di Lione durante il Medioevo. La vicenda portò alla nascita di una devozione ben nota che esprime un sentimento popolare intriso di tradizioni folkloriche e superstizione.

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La storia di Guiniforte

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Guiniforte era il cane di un nobile che un giorno si allontanò dal proprio maniero lasciando il figlio infante insieme al levriero. Improvvisamente un grosso serpente attaccò il bambino che si trovava nella sua culla e il cane, per difendere il padroncino, si scagliò contro il rettile.

Lo scontro fu cruento ma alla fine Guiniforte, seppur ferito, riuscì a prevalere uccidendo l'antagonista. Durante la colluttazione però la culla si rovesciò e il bambino, che era avvolto in una coperta rossa (il colore rosso non è casuale, in alcuni paesi avvolgere gli infanti in una coperta di questo colore li proteggeva dalle forze oscure), rimase nascosto alla vista del genitore. Quando questi tornò al castello, notando la culla vuota e il cane ricoperto di sangue, pensò che il quadrupede avesse sbranato il figlio. A questo punto, accecato dalla rabbia, uccise il cane.

Scoperta però la verità sullo svolgimento degli eventi, come atto di redenzione decise di dare all'eroico Guiniforte una degna sepoltura in un bosco nelle vicinanze.

Ben presto intorno alla tomba del levriero si diffuse un culto di matrice popolare e le persone del luogo vi si recavano per chiedere grazie per i loro figli malati.

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Il rito 

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A raccontarci questa bizzarra vicenda è il domenicano Stefano di Bourbon (Belleville-sur-Saône, Rodano, 1190-95 circa - Lione 1261 circa), predicatore e inquisitore nella regione della Dombes nei pressi di Lione. Il religioso, venendo a conoscenza di questa strana devozione e trovandosi nei pressi, decide di approfondire personalmente le dinamiche di quanto avveniva.

Sul luogo di culto, dove il castello del padrone di Guiniforte era ormai in rovina, i popolani facevano passare il bambino malato tra due tronchi. Successivamente lo adagiavano nudo e circondato di candele; a questo punto deponevano delle offerte votive e poi lasciavano l'area del rito.

Quando facevano ritorno, simulando un battesimo, immergevano il bambino nel fiume Chalarone. Se il paziente non moriva poteva ritenersi del tutto guarito.

Le ragioni del rito e la reazione dell'inquisitore

Stefano di Bourbon afferma che il rito serviva ai popolani per capire quale fosse la vera natura del bimbo malato. Si temeva la presenza dei changelins ovvero copie di esseri malaticci, figli di fate o di demoni, scambiati nella culla al posto di quelli sani.

Il cronista scrive testualmente che le donne che partecipavano al rito: ...invocando i demoni scongiuravano i fauni che si trovavano nella foresta di Rimite di prendere questo bambino malato e debole che, affermavano, apparteneva loro, rendendo invece loro stesse il proprio figlio grasso e grosso, sano e salvo, che essi si erano portati via.

Il frate, inorridito da tale pratica, ordina che venga immediatamente tagliato il bosco, dissotterrato il "santo levriero" e che tutto venga dato alle fiamme. Il tentativo di Stefano però fallì miseramente perché il culto è attestato ancora nel XVII e XX secolo.

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Bibliografia essenziale

 

  • Jean-Claude Schmitt, Medioevo superstizioso

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Santino di san Guiniforte
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