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La Cronaca di Fra Michele minorita, i Fraticelli e la disputa sulla povertà

Il manoscritto​

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La Cronaca di fra Michele minorita ci è tramandata da tredici fogli manoscritti redatti in lingua volgare in una fitta semicancelleresca posata di modulo minuto. Le carte vergate da una mano assai educata, nella quale si può intravedere un'assidua pratica notarile o quella di uno scriptor di professione erano disposte, in origine, all'interno di un'unità codicologica, di un fascicolo del tutto a sé stante, segno di una circolazione del tutto autonoma e indipendente, come, altresì, comproverebbe l'annotazione in sua apertura: «Prieganvi questi vostri amici, quanto possono, | che voi facciate che n’abiano una copia per lo primo che viene a Firençe». Tale quinione pubblicato per la prima volta da Francesco Zambrini (1810-1887) a Bologna nel 1864, per i tipi di Fava e Garagnani, con il titolo: Storia di fra Michele minorità, come fu arso in Firenze nel 1389, con documenti riguardanti i fraticelli della povera vita. Testi inediti del buon secolo di nostra lingua, oggi risulta raccolto all'interno di un codice cartaceo miscellaneo, proveniente dalla collezione della famiglia Strozzi, confezionato entro la metà XV secolo, volume dedicato, per la maggior parte, a testi epistolari inerenti dissidenza minoritica dell’Italia centrale nella seconda metà del XIV secolo (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ms. Magliab. XXXI.65, ff. 34r-43v).

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La Cronaca, nella quale si ripercorrono gli ultimi giorni del fraticello francescano Michele da Calci (Pisa), intercorsi tra la Domenica delle Palme e l’11 aprile 1389, suggestionò anche Umberto Eco ne Il nome della rosa.

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I Fraticelli e la questione della povertà apostolica

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Le vicende narrate nella Cronaca di fra Michele minorita, affondano le radici in una disputa antica. Il protagonista del racconto era un cosiddetto fraticello (epiteto di chiara origine italiana che compare per la prima volta nella bolla Sancta Romana del 30 dicembre del 1317 rivolta contro il gruppo degli spirituali guidati da Angelo Clareno e contro la setta designata come fraticelli, frati di povera vita, bizzochi, beghini), espressione diretta del movimento degli spirituali che si era manifestato all’interno dell’Ordine dei minori subito dopo la morte di Francesco. Motore propulsore del movimento era l’annosa disputa sulla povertà di Cristo e degli apostoli; il tema era stato affrontato da papa Niccolò III con la decretale Exiit qui seminat emanata il 14 agosto 1297, la quale stabiliva che tutti i beni dei francescani sarebbero appartenuti alla Sede Apostolica che li avrebbe amministrati per mezzo di sindaci, mentre gli appartenenti all’ordine ne sarebbero diventati semplici utilizzatori (usus facti). La manovra del pontefice, che era essenzialmente uno stratagemma giurisprudenziale, non ebbe gli effetti sperati; anzi alcuni minori, tra i quali Ubertino da Casale, inasprirono ulteriormente la critica nei confronti dell’operato del papa e dei suoi predecessori riguardo la disciplina della povertà apostolica.

Nel 1294, sotto il pontificato di Celestino V e per impulso di Jacopone da Todi (che apparteneva alla corrente degli spirituali), il papa concesse agli spirituali dell’Italia centrale la possibilità di organizzarsi in un Ordine religioso a sé  stante; all’interno del nuovo sodalizio si sarebbe osservata alla lettera la regola e il testamento di Francesco, privilegiando la vita eremitica. Il gruppo, noto come Poveri eremiti di Celestino V o Celestini, fu però sciolto da papa Bonifacio VIII con la bolla Olim Coelestinus, datata 8 aprile 1295. La salita al soglio pontificio del Caetani produsse feroci reazioni da parte degli spirituali che riconoscevano in Celestino un loro protettore; la protesta condusse addirittura a contestare la validità della nuova elezione. Bonifacio, evidentemente preoccupato dalla situazione, contrastò energicamente i movimenti pauperistici, in particolare quello degli Apostolici, tanto da far condannare al rogo nell’anno 1300 il fondatore Gherardo Segarelli. Le reazioni non si fecero attendere, anzi ebbero manifestazioni particolarmente violente soprattutto per opera di Dolcino da Novara, meglio noto come Fra Dolcino (nato forse in Val d’Ossola verso la seconda metà del XIII secolo - 1307).

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La brutalità mostrata dal novarese inasprì le posizioni della chiesa e Benedetto XI individuò in Ubertino da Casale, capo degli spirituali, il capro espiatorio a causa della sua predicazione circa la dottrina della povertà apostolica. Il papa gli impose di ritirarsi in convento e cessare qualunque predicazione; l’ordine fu accolto dal frate, che nel suo ritiro forzato scrisse e diffuse l’opera nota come Arbor vitae crucifixae Jesu Christi, nella quale si profetizzava la venuta di un “papa angelico” in contrasto con i pontefici che lo avevano preceduto. Su Ubertino fu scagliata la scomuniuca che sarà però revocata dal successore di Benedetto, Clemente V, il quale volle incontrare il frate e gli altri capi degli spirituali Raymond Gaufredi e Guy de Mirepoix ad Avignone insieme al generale dei francescani, Gundisalvo di Vallebona. L’incontro non produsse nulla di positivo soprattutto per Ubertino che, alla richiesta di esplicare il loro concetto di povertà apostolica e di come poterla applicare all’interno della chiesa, rispose con tanta veemenza da essere imprigionato.

Nel 1316 salì al soglio Giovanni XXII e contemporaneamente venne eletto generale dell’Ordine Michele da Cesena. In un primo momento il papa cercò l’appoggio del generale affinché intervenisse per eliminare gli spirituali e già l’anno successivo emanò la Quorundam exigit, con la quale veniva posta in discussione la Exiit qui seminat di papa Niccolò III. Le questioni sollevate dal pontefice ponevano l’accento sulla possibilità che i beni dei francescani potessero tornare all’ordine non solo per usus facto ma come possesso effettivo; questa prospettiva avrebbe reso lecita la proprietà e la ricchezza per l’ordine e per la chiesa intera. Il 30 dicembre 1317 fu emanata la bolla Sancta Romana indirizzata contro il gruppo degli Spirituali guidati da Angelo Clareno (Chiarino, 1255 circa - Marsicovetere, 15 giugno 1337) e contro la setta genericamente chiamata fraticelli, frati di povera vita, bizzochi, beghini. La bolla non produsse i risultati sperati così Giovanni XXII inasprì le sue posizioni e nel 1318 quattro Spirituali furono bruciati sul rogo a Marsiglia; questa azione segnò l’inizio delle persecuzioni anche in Italia. Nel 1322 il pontefice, per rafforzare le sue posizioni, interrogò il Capitolo dell’Ordine sulla possibilità di affermare o meno la totale assenza dalle Scritture di ogni proprietà di Cristo e degli apostoli. Affermazione smentita dal Vangelo dove si cita Giuda come amministratore della “cassa comune” dalla quale si attingeva per comprare il cibo e amministrare le offerte e le elemosine.

In quello stesso anno, durante il Capitolo dell’Ordine riunitosi a Perugia, Bonagrazia da Bergamo espresse il punto di vista dei francescani attraverso il trattato De paupertate Christi et apostolorum, nel quale difese la dottrina francescana della povertà assoluta e il principio dell’usus facti (É manifesto infatti che l’essere della natura non si può in alcun modo conservare senza l’uso di fatti delle cose necessarie alla vita umana […] La proprietà invece o il dominio delle cose e degli alimenti, che è una questione di diritto, non serve all’essere della natura ma solo l’uso di fatto serve. Dunque ovunque e sempre a questo tipo di proprietà delle cose si può rinunciare all’uso invece non si può mai). L’8 dicembre dello stesso anno Giovanni XXII promulgò la decretale Ad conditorem canonum, con cui annullava quanto disposto nella Exiit qui seminat di Niccolò III dando all’ordine piena proprietà dei beni ad esso afferenti e non più il solo usufrutto. Nel 1323 con la bolla Cum inter nonnullos il papa dichiarava eretica la proposizione del Capitolo di Perugia e imponeva a Michele da Cesena e ai suoi più stretti collaboratori di presentarsi ad Avignone.

Negli anni successivi Michele e i suoi seguaci tentarono di instaurare alleanze ma nel 1328, quando si presentarono presso la corte avignonese, fu palese la loro posizione di minoranza rispetto alla chiesa ufficiale; la notte del 26 maggio fuggirono da Avignone per rifugiarsi presso l’imperatore Ludovico il Bavaro, che proprio allora era sceso in Italia per occupare Roma e indebolire l’autorità papale.

A differenza dei provenzali che furono repressi nel 1318, i gruppi italiani ebbero vita piuttosto lunga anche grazie ad alcuni fattori contingenti, fra tutti: l’assenza del papa da Roma e i dissidi fra chiesa e comuni. Tra le comunità più attive si segnalano quella di Narni, Assisi, Todi, Perugia e Pisa. A Roma, come apprendiamo dal Catalogo di Torino (1330 ca.), essi operavano sotto il nome di Frati della povera vita ed avevano sede nella chiesa di san Giovanni ante portam latinam. Altre sedi erano attestate nel Lazio, Umbria, Toscana, Marche, Napoletano e Sicilia.

Questa longevità fu favorita anche dall’appoggio di personalità influenti come ad esempio la regina Sancia, Cola di Rienzo, che fu addirittura ospitato dai fraticelli della Maiella e Carlo duca di Calabria. Con l’elezione al soglio pontificio di Niccolò V (1397-1455), la lotta contro i movimenti eterodossi si inasprisce e la furia del pontefice è rivolta contro i Fraticelli diffusi, a detta del Biondo, in molte città italiane e in Grecia. Agli inizi del XV secolo la loro presenza è attestata in Maremma toscana e Lucca dove saranno processati nel 1411. Nel 1447 Giovanni da Capestrano e Giacomo della Marca (quest’ultimo autore del trattato Dialogo contro i Fraticelli) furono istituiti come inquisitori contro i fraticelli delle Marche, della provincia di Roma e del Ducato di Spoleto. Nel 1451 Simone di Candia imprigionò il “papa” dei fraticelli attivi in Grecia e nel 1453 venne inviato a Creta Onofrio di Castel Durante. L’ultimo processo, che sancì anche la scomparsa del movimento, si tenne a Roma nel 1466.

Ubertino d Casale che abbracca il Crocifisso
Ritrtto di Dolcino da Novara
san Giacomo della Marca
sa Giovani da Capstrano
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