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Il rito del répit e il ritorno alla vita

Ancora oggi, soprattutto in alcuni paesi africani e asiatici, la mortalità infantile è un problema che coinvolge migliaia di persone. Nel Medioevo, a causa delle scarse condizioni igieniche e alla mancanza totale di efficaci cure mediche, si stima che 1 bambino su 3 moriva nei primi cinque anni di vita e moti erano i casi di infanti nati morti o che perivano immediatamente dopo il parto.

Questo stato di cose, soprattutto per quanto riguardava i decessi post partum, indusse i teologi a interrogarsi sul destino delle anime degli infanti che morivano prima di ricevere il battesimo.

Sant’Agostino (354-430) prima e Fulgenzio da Ruspe (468-533) dopo cercarono di trovare una valida risposta teologica al problema; le conclusioni a cui giunsero non furono affatto edificanti poiché entrambi affermarono che coloro i quali morivano senza aver ricevuto il battessimo erano destinati all’eterna dannazione. Agostino sentenziò che: ai bambini non battezzati nessuno osi peromettere, fra la dannazione e il regno dei cieli, qualsiasi luogo mediano di quiete e di felicità, posto in qualsiasi parte. Fulgenzio, da parte sua, ribadisce il concetto con queste parole: …non soltanto gli uomini già forniti di ragione, ma anche i bambini che cominciano ad aver vita dall’utero delle madri o che siano già nati, e che abbandonano questo mondo senza aver ricevuto il battesimo dovranno essere puniti con il supplizio del fuoco eterno.

 

Alla ricerca di una soluzione meno intransigente 

Appare evidente che le posizioni dei due teologici sono molto dure e severe e non tengono conto della distinzione fra peccato originale e peccato personale; nel corso dei secoli la chiesa ufficiale tenterà di trovare una soluzione meno drastica e il primo approccio in questo senso è registrato nel 1274 durante il concilio di Lione dove si stabilì che, le anime morte con il peccato originale, saranno si destinate all’Inferno ma punite con pene diverse. Circa due secoli dopo, ovvero nel 1439, durante il Concilio di Palermo fu ribadito quanto deciso a Lione.

Nel XIII secolo perciò, possiamo segnare la nascita di un luogo infero destinato agli infanti non battezzati: il Limbo che sarà cristallizzato e definito da Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. Con la definizione del limbo coloro che erano morti prima di essere battezzati non erano soggetti alla dannazione vera e propria ma erano privati della visione di Dio.

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La nascita dei santuari arépit

Quanto scritto contribuì alla nascita di alcuni santuari speciali, comunemente noti come santuari a répit specializzati nell’impartire il battesimo agli infanti che, attraverso vari espedienti, erano momentaneamente resuscitati, battezzati e finalmente sepolti nella grazia di Dio. Questo ritorno alla vita era momentaneo e costituiva una sorta di sospensione dalla morte come suggerisce il termine répit, che letteralmente vuol dire tregua.

La prima testimonianza di questo genere di santuario è attestato ad Avignone nel 1387 e, nonostante il veto della chiesa ufficiale a servirsene per tali scopi, la loro frequentazione si protrarrà fino al XX secolo.

Durante il XV secolo si registrano veri e propri pellegrinaggi verso i santuari svizzeri di Neuchâtel e la Cappella di Oberbüren vicino a Berna dove si erano registrati, stando alle parole del vescovo in una missiva alla Curia romana, circa duemila resurrezioni che il prelato afferma essere avvenute con falsi miracoli.

In Francia si registra la maggior concentrazione di luoghi sacri preposti a questa pratica con circa duecento attestazioni ma se ne conosce l’esistenza anche in Austria, Belgio, Germania e nelle aree alpine italiane.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il rito

La richiesta di resuscitare temporaneamente i bambini morti senza il battesimo era avanzata dai genitori. Il cadavere era trasportato immediatamente nella chiesa o nel santuario ma, considerando che questi templi potevano anche non trovarsi vicinissimi al luogo del decesso, vi si giungeva spesso dopo alcuni giorni di cammino con tutto quello che ne conseguiva per la conservazione del corpo. Esistono testimonianze molto macabre che ci informano che in alcuni casi erano portati presso i santuari bambini dissepolti anche due settimane dopo il decesso e pertanto in avanzato stato di decomposizione.

Giunti al santuario si procedeva all’esposizione del corpo che poteva variare da pochi minuti a qualche ora e, in alcuni casi, fino a due giorni. Qualora sul cadaverino non apparisse nessun segno di temporanea rinascita, i preposti dovevano convincere i genitori a rivolgersi presso altre strutture.

Successivamente all’esposizione si procedeva a celebrare messe e a innalzare preghiere a Dio affinché si manifestasse l’avvenuta resurrezione. I segni che si sperava di vedere erano di varia natura e oggi alcuni facilmente interpretabili scientificamente: un battito del polso, una ripresa del colore rosa sulle guance, gocce di sange dal naso, lacrimazione etc. Una volta colto uno di questi segni si impartiva il battesimo con formula abbreviata che spesso consisteva in un segno della croce sul cadavere seguita dalla formula se sei vivo.

Compiuto il rito si procedeva alla sepoltura all’interno o nei pressi del santuario o nei cimiteri d’origine.

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La paura degli spiriti maligni

La pratica del riportare in vita temporaneamente i bambini per impartirgli il battesimo, oltre a testimoniare la paura che riempiva i cuori degli uomini e delle donne per il destino di dannazione che spettava al figlioletto morto,  affonda le radici anche in alcune credenze popolari più vicine alla superstizione che alla religione; si riteneva infatti che i pargoli morti senza aver ricevuto la grazia di Dio,  potessero tornare sotto forma di spiriti maligni per tormentare i propri genitori. A tal proposito Bucardo di Worms che scrive nell'XI secolo, ci tramanda l’usanza di infliggere un piolo nel cadavere degli infanti morti senza il battesimo per evitare che si ripresentassero nel mondo dei vivi sotto forma di esseri maligni.

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La condanna del répit

Benché il rituale del répit fosse praticato, era fortemente condannato dalla chiesa ufficiale come ci ricorda il sinodo diocesano di Langres del 1452 e quello svoltosi nella stessa città qualche anno più tardi dove la pratica è definita un abuso e una superstizione.

Per concludere ricordiamo che durante il processo a Giovanna D’Arco (gennaio-maggio 1431), fra i capi di imputazione, compare quello che accusa la Pulzella d’Orleans di aver praticato un répit su un neonato per permetterne la sepoltura in terra consacrata.

     

 

Bibliografia essenziale

Romano Broggini, Una nuova riflessione sui répit, Bellinzona 2005

Fiorella Mattioli Carcano, Santuari à répit. Antropologia della morte e del lutto, Roma 1995

Erberto Petoia, Sia tregua agli innocenti, in Medioevo, n. 242, marzo 2017

Santuario di Maria Luggau in Austria dedicato alla Madonna Addolorata, XVI secolo

Santuario della Madonna del Boden, Ornavasso (Provincia del Verbano-Cusio-Ossola),

Madonna delle Grondici, Tavernelle (PR)

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